E' di ieri la notizia che una piccola azienda del milanese, la MaVib, ha licenziato quasi tutte le sue operaie donne, salvaguardando il posto degli uomini, con la motivazione che “quello portato a casa dalle donne è comunque un secondo stipendio”. Non solo, i dirigenti dell'azienda hanno anche affermato che il licenziamento permetterà alle ex-lavoratrici di stare finalmente a casa a curare i bambini, e i colleghi uomini, quando le operaie hanno organizzato una mobilitazione, hanno preferito andare a lavorare regolarmente piuttosto che portare la loro solidarietà. Qui, il post di Lipperatura su questa e su altre schifose vicende.
Io, invece, ho deciso di riportare qui un estratto del libro di Marco Revelli Poveri, noi, sull'impatto della crisi sulle famiglie italiane.
“Patriarcalismo di ritorno. Padri, figli, famiglia
Le specifiche politiche sociali messe in campo dal governo – incentrate in forma pressoché esclusiva sul doppio pilastro costituito dagli ammortizzatori sociali (leggi cassa integrazione) e dalla famiglia – hanno poi contribuito, per parte loro, a rendere particolarmente selettivo l'impatto della crisi, differenziato non solo per settori produttivi e per collocazione geoeconomica, ma anche, e forse soprattutto, per composizione anagrafica e forza lavoro. A segmentare il mondo del lavoro secondo linee di frattura generazionali, per differenziali costituiti dall'anzianità aziendale e dalla complessa geografia parentale, fino a disegnare un «modello italiano» di rapporto tra povertà e crisi diverso da pressoché tutto il resto d'Europa. Sul breve periodo forse più rassicurante. Ma tendenzialmente più regressivo. E sicuramente disegualitario, con oscillazioni assai forti tra aree di esposizione e aree di copertura. Tra «sommersi» e «salvati».
I giovani, ad esempio, sono stati «massacrati». Quelli che erano entrati per ultimi nel mercato del lavoro, attraverso la porta sfondata dei contratti atipici, a termine, di somministrazione, a progetto eccetera. Precari nello sviluppo, disoccupati nella crisi.
[…] I «padri», invece, i lavoratori manuali delle classi d'età centrale e – in quote consistenti – con un'anzianità tale da aver loro assicurato un lavoro a tempo indeterminato, sono, almeno in parte, rimasti sotto l'ombrello protettivo dell'ammortizzatore sociale. Investiti dalla crisi, hanno tuttavia conservato – almeno in un primo tempo – il posto di lavoro e uno zoccolo duro di reddito, assottigliato di un 30-40% dal meccanismo della cassa integrazione, defalcato dalle diverse indennità e dalle quote di lavoro straordinario, ma non estinto. E poiché, statisticamente, sul reddito della famiglia è il salario del padre che incide per la parte essenziale, mentre quello dei figli pesa appena per la metà e quello della donna solo di qualche punto percentuale in più, il saldo finale famigliare si è mantenuto in molti casi – almeno fin'ora – al di sopra della linea di galleggiamento. Smagrito, ridotto all'osso, ristretto all'essenziale, ma comunque sufficiente per non far precipitare tutto il gruppo famigliare. Per frenare (o mascherare) la caduta della famiglia. La quale viene a funzionare, per questa via, da struttura portante di un del tutto originale «welfare informale» all'italiana: organo di redistribuzione di un reddito misto a geometria variabile, in cui il sussidio pubblico viene filtrato dalla figura centrale di un breadwinner patriarcale riconfigurato come nuova cerniera tra Stato e Mercato. E come ripristinato fulcro di una gerarchia altrimenti perduta, chiamata a sostituire il sistema universalistico, ma più impersonale e più costoso, dei diritti.
[...]anche laddove [il modello italiano] «tiene», nei settori centrali e maggioritari del sistema della forza lavoro, il prezzo pagato è alto, soprattutto da parte della famiglia che, chiamata a un ruolo di supplenza rispetto alla regolamentazione pubblica, vede crescere esponenzialmente lo stress a cui viene quotidianamente sottoposta, l'ampiezza del fronte di bisogni da coprire, le mediazioni interne da realizzare. Col risultato di una tendenziale chiusura verso l'esterno. Della esasperazione di quella tendenza al «familismo amorale» che appartiene endemicamente alla tradizione italiana nella forma, ben conosciuta, di un sostanziale egoismo di gruppo e di una reiterata amnesia della dimensione pubblica. Cui si accompagna una parallela verticalizzazione dei rapporti parentali: il rafforzamento, patologico, del modello – anche questo tutto italiano – di famiglia incentrata sul male breadwinner (sull'unico reddito del capofamiglia maschio, adulto, marito-padre), i cui costi sociali sono stati ampiamente documentati; il rinnovato assoggettamento generazionale dei figli ai padri. In sintesi, il ripristino di gerarchie radicate nel bios, e la replica coatta di una tradizione non più reinventabile, come si addice, appunto, a una società che cerca, nel «ritorno all'abituale», un'improbabile rassicurazione contro la «furia del dileguare» di un processo che non sa controllare".