venerdì 11 maggio 2012

Non si teme il proprio tempo

"Non si teme il proprio tempo, è un problema di spazio", salmodiava G.L.F ai tempi dei CSI, in un brano ispirato ai racconti barbari di Beppe Fenoglio. Uno di essi si chiama Gli inizi del partigiano Raoul, e descrive la prima notte da partigiano di un ragazzo spinto alla guerra da uno slancio ideale, dalla necessità di fare la cosa giusta, il quale però vacilla di fronte ai compagni, al loro essere "selvaggi", rissosi, eterogenei, abbruttiti. Il contrario dell'immagine che il ragazzo aveva della guerra partigiana, come qualcosa di nobile e puro, condotta dal volontarismo dei più coraggiosi contro l'ignavia degli altri. E' proprio sull'idea del soldato volontario che la mitologia dei martiri si fonda ovunque, dall'Iran dei Basij alla Germania nazista.

Ma la scelta di quei partigiani non era quella tra la nobiltà e l'infamia, ma tra tenersi il fascismo o combatterlo. Per molti, per quelli che si trovavano troppo lontani da casa e la cui unica speranza era che la linea del fronte continuasse a salire per poterla finalmente passare, non era neanche una scelta. E non erano nemmeno belli, perché i tempi non lo erano. Erano tempi di carneficine, di freddo, di fame, in cui si cresceva nelle scuole fasciste e i grandi romanzi, la poesia, la storia erano un privilegio di pochi. Si era brutti, perché erano tempi brutti, ma nonostante questo si era capaci di scegliersi una parte, di combattere e di vincere per essa.

Anche noi non siamo belli, per nulla. Siamo litigiosi, egoisti, narcisisti, boriosi, arroganti, stupidi, pretenziosi, viziati, frantumati, individualisti, illusi. Lo siamo perché i tempi sono così, perché siamo cresciuti nel disfacimento, nell'abbaglio e nella vanità, convinti che il mondo fosse un posto fatto di meriti e demeriti, di talenti, di karma, di occhi capaci di riconoscere la nostra bellezza e di elevarci al di sopra della mediocrità, al di sopra dei nostri simili. Ma le persone belle invece se ne vanno, come se ne sono andati gli anni che le hanno fatte fiorire, e rimaniamo sempre più soli, più cupi, più incapaci di agire.

Eppure toccherà anche a noi sceglierci una parte e combattere per essa, e le scelte saranno - sono già - solo due: vivere in un mondo sempre più misero (più povero, più ignorante, più malato, più crudele, più debole) oppure resistere. Resistere come hanno fatto loro, per conservare quanto di buono ancora abbiamo e per prenderci il resto, per uscire dalla barbarie in cui siamo cresciuti. Non siamo nobili, non siamo buoni, non siamo i vecchi che si sacrificano o i giovani vittime innocenti dell'ingordigia di altri. Siamo barbari anche noi, e resisteremo da barbari magari, però dobbiamo resistere.Guardandoci negli occhi, smettendola di crederci intitolati a un futuro che ci renderà merito, smettendola di crederci migliori di quello che siamo e di credere questa barbarie migliore di quello che è. Conservando i nostri libri, il ricordo delle lotte, costruendo luoghi in cui si ricordi e si apprenda. Tocca a noi farlo.

A proposito di resistenze, qui c'è un appello per creare un archivio online su Stefano Tassinari.

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